Tendine d’Achille

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Il tendine d’Achille è il tendine più lungo del nostro corpo e quello soggetto alle maggiori sollecitazioni.

Esso deriva dall’unione di tre muscoli: gastrocnemio mediale, gastrocnemio laterale e soleo e ne rappresenta la loro inserzione sul calcagno.

Il ruolo del tendine d’Achille è quello di consentirci di andare sulla mezzapunta, quindi di plantarflettere la caviglia.

Diventa quindi fondamentale per poter compiere correttamente la fase propulsiva del passo, ovvero quella di spinta in cui il tallone si solleva da terra.

Nonostante sia un tendine molto forte e robusto, visto il tipo di sollecitazioni a cui è sottoposto, ha un punto di debolezza importante che va a spiegare alcune patologie che lo affliggono.

Infatti questo è avvolto interamente dal peritenonion, come una carta velina, che apporta nutrimento a livello del tendine, ma contrariamente a quanto avviene per i tendini in generale, in questo caso, questa particolare membrana si rivela essere insufficiente per completare le necessità nutrizionali del tendine d’Achille.


Per questo motive una parte importante della vascolarizzazione e di conseguenza del nutrimento arriva direttamente dai muscoli da cui è composto (prossimalmente) e dal calcagno sul quale si inserisce (distalmente).


Questo spiega quindi perché una delle sedi frequenti di lesione del tendine d’Achille è proprio a metà strada tra calcagno e la componente muscolare data dal tricipite.

La tendinopatia achillea

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Il tendine d’Achille si può ammalare tipicamente a due livello diversi: a livello inserzionale, ossia dove si inserisce sul calcagno, o a livello non-inserzionale ovvero a circa 4 cm dall’inserzione sul calcagno.

Tendinopatia non inserzionale

La tendinopatia non inserzionale achillea, è una patologia legata alla mancanza di irrorazione del tendine d’Achille a livello del terzo medio, ovvero a 3-4 cm dall’inserzione sul calcagno. È questa l’area di debolezza del tendine d’Achille che lo può esporre a degenerazione e successivamente a rottura.

La tendinopatia non inserzionale achillea quindi rappresenta una sorta di segnale che il tendine ci manda sul suo precario stato di salute.

Colpisce generalmente pazienti dai 40 anni in su, ma non è infrequente anche nei trentenni.

La diagnosi precoce è fondamentale per cercare di contrastare il rischio di rottura del tendine legato alla sua degenerazione.

La sintomatologia

La sintomatologia riferita dal paziente è il dolore. Il dolore inizialmente non è costante e spesso compare sotto sforzo, pensiamo all’attività fisica prolungata.

Con il tempo però può diventare costante e molto limitante. Talvolta possono associarsi, specie con il cronicizzarsi della patologia, crampi e ipotono del tricipite (popaccio) dell’arto affetto.

Terapie conservative

Le terapie conservative sono sicuramente la prima opzione terapeutica nel trattare questa patologia.
È fondamentale spiegare al paziente che queste possono realmente migliorare la sintomatologia purché vengano eseguite con costanza e dedizione.

L’allungamento del tendine è indispensabile: lo stretching del tricipite (polpaccio) è indubbiamente il primo gesto terapeutico da compiere.

A questo si associano le terapie fisiche come la tecaterapia che ha una duplice funzione: contribuire al rilassamento muscolare e quindi al miorilasciamento e stimolare il microcircolo aumentando la vascolarizzazione.

Medicina Rigenerativa

Nei casi in cui le terapue fisiche non siano, nonostante la dedizione del paziente, sufficienti o efficaci, prima di pensare all’intervento chirurgico la medicina rigenerativa offre sicuramente una valida opzione di trattamento.

È importante spiegare al paziente che la medicina rigenerativa è ampiamente legata al grado di degenerazione tendinea e all’età del paziente, motivo per cui non si può assicurare la completa rigenerazione del tendine.

Con medicina rigenerativa, oggigiorno, si intendono varie metodiche. Tra le più conosciute ed efficaci sicuramente nominiamo il PRP, frazione stromale del grasso, terapia cellulare con monociti. Ognuna di queste ha caratteristiche diverse.

PRP

Nel caso del PRP, questa metodica prevede un semplice prelievo di sangue che viene fatto centrifugare ottenendo un preparato di concentrato piastrinico che viene direttamente iniettato nell’area ineressata. Sono solitamente necessarie 2 infiltrazioni, talvolta 3 perché venga avvertita una certa efficacia dal paziente. Il ruolo del PRP è soprattutto anti-infiammatorio.

Frazione stromale del grasso

Il prelievo di cellule adipose è una delle ultime metodiche in vigore che ha mostrato una importante efficacia a livello anti-infiammatorio, rigenerativo e riempitivo.

Si tratta di un prelievo, simil liposuzione, delle cellule adipose a livello ombelicale, le quali vengono poi filtrate e non centrifugate per ottenere una concentrazione di ciò che vienn chiamato “Frazione Stromale del Grasso” ovvero il preparato che è la reale fonte di cellule multipotenti.

Terapia cellulare con monociti

La terapia cellulare che ricorre al prelievo di monociti, sfrutta nuovamente la semplicità del prelievo venoso, che non richiede al contrario della Frazione Stromale del Grasso, della sala operatoria, per concentrare tramite un apposite kit e non una centrifugazione, cellule multipotenti.

Anche in questo caso come il precedente, la metodica si avvale sia di un potente preparato a funzione anti-infiammatoria, ma soprattutto rigenerativa.

Bisogna tenere ben presente che la medicina rigenerativa, non va a sostituire la chirurgia ed è strettamente legata alla capacità rigenerativa del soggetto e quindi all’età. Tuttavia si tratta di terapie affidabili e che possono essere effettuate in associazione alla chirurgia aumentandone il suo potenziale

Chirurgia

La chirurgia rappresenta sicuramente l’ultima ratio nel trattamento della tendinopatia non inserzionale achillea.

Si tratta di un trattamento affidabile, ma che richiede un maggior contributo da parte del paziente nel recupero post-operatorio.

La chirurgia si avvale di tecniche mini-invasive, volte a scarificare il tendine (eseguire delle piccole incisioni) per favorirne il sanguinamento e la guarigione.

Unire la medicina rigenerativa a queste tipologie di soluzioni mini-invasive rappresenta indubbiamente un importante vantaggio, lenendo l’infiammazione, aumentando la capacità rigenerativa del tendine e velocizzando il recupero post-operatorio.

Nel caso la chirurgia mini-invasiva non possa più essere presa in considerazione, per il grado di degenerazione tendinea o in casi di recidiva, la chirurgia open è una ottima risorsa, che recentemente abbiamo rivisto in ottica mni-invasiva, in termini di minimalizzazione delle incisioni e di velocità di recupero.

La chirurgia open in questi casi prevede delle trasposizioni tendinee, andando a prelevare alcuni tendini per supportare l’achille.

Esistono due diverse scelte: la trasposizione del flessore lungo dell’alluce o l’utilizzo del semitendinoso.


Il tendine semitendinoso viene prelevato a livello del ginocchio dallo stesso lato senza portare limitazione alcuna all’articolazione del ginocchio proprio come si fa nei casi di ricostruzione del legamento crociato anteriore.

Il tendine viene poi utilizzato in supporto al tendine d’achille degenerato.

Si tratta di un ottima tecnica, non invasive e affidabile che però ha il limite di prevedere un supporto meccanico e non biologico al tendine malato.


Al contrario la trasposizione del flessore lungo dell’alluce ha un ruolo soprattutto di supporto vascolare e quindi rigenerativo, può essere eseguito endoscopicamente o attraverso una piccolo incisione e rappresenta il gold standard nella mia/nostra attività chirurgica nel trattamento chirurgico delle tendinopatie non inserzionali achillee.

Si tratta di un intervento eseguibile in day hospital, ma può essere prevista una notte di ricovero che richiede l’immobilizzazione con gesso sul quale è comunque possibile caricare il peso del corpo, dopo i primi 15 giorni dall’intervento.


Un ritorno ad attività sportiva agonistica è normalmente prevedibile a 6 mesi circa dall’intervento.

Tendinopatia inserzionale achillea 

Tendinopatia inserzionale

Come detto poco sopra, la tendinopatia inserzionale è l’infiammazione del tendine d’Achille a livello della sua inserzione sul calcagno.

Questa è legata allo stress meccanico esercitato dalle superfici a livello del tendine.

Principalmente si parla di superfici ossee, anche se bisogna tener conto della borsa retroachillea e dell’attrito esercitato dai tessuti molli circostanti.

Il caso più frequente di sofferenza a livello inserzionale del tendine d’Achille è sicuramente legato però all’insorgenza di un callo, meglio conosciuto come esostosi, a livello del calcagno spesso conseguenza di patologie come l’osteocondrosi conosciuta a questo livello come Morbo di Haglund.

In questi pazienti è presente quindi una vera escrescenza ossea a livello del calcagno, proprio dov’è prevista l’inserzione del tendine d’Achille.

Questo rappresenta la causa principale di attrito, infiammazione e quindi dolore a livello inserzionale.

In tutto questo non dobbiamo dimenticarci però delle calzature. Spesso sono queste, aggiungendo un’ulteriore interfaccia, a creare una nuova fonte d’attrito e sfregamento contro il tendine o favorirne quello interno dell’osso contro la superficie Achillea. Ecco spiegato come mai queste patologie affliggano spesso corridori, runners, sportivi in genere.

In altri casi invece non è l’eccesso di osso a livello del calcagno a scatenare la sintomatologia e l’infiammazione, ma le calcificazioni intratendinee in grado di causare anch’esse una sintomatologia molto forte e altrettanto invalidante.

Altre volte ancora e non raramente, le due condizioni posso essere associate.

Si tratta quindi di una patologia decisamente invalidate, che però espone ad un rischio davvero limitato di rottura del tendine d’Achille.

Trattamenti conservativi

Le terapie conservative sono indubbiamente le prime da cui partire.

Il ruolo dello stretching della muscolatura posteriore della gamba, in particolare del tricipite surale (polpaccio), rimane sempre fondamentale come nel caso della tendinopatia non inserzionale.

L’allungamento deve essere svolto in modo costante per poter dare un beneficio che si può osservare non prima delle 4-5 settimane.

Anche le terapie fisiche come onde d’urto focali, TecarTerapia e Laserterapia rappresentano un valido aiuto.

Queste infatti non solo aiutano l’allungamento muscolare, potenziando lo stetching, ma hanno inoltre lo scopo di aumentare il microcircolo, riducendo l’infiammazione e la tumefazione dei tessuti, contribuendo a lenire la sintomatologia acuta.

Tendenzialmente cerco di evitare l’utilizzo di plantari o talloniere che possono in realtà venir percepiti come un ingombro all’interno della calzatura e aumentarne l’attrito.

La medicina rigenerativa (PRP, aspirato midollare, Lipogems, terapia cellulare con monociti)

La tendinopatia inserzionale Achillea non lascia molto spazio in realtà alla terapia rigenerativa. Questo è legato alla causa della sua insorgenza, che come spiegato, non è dovuta ad una degenerazione tendinea, ma all’attrito che si verifica principalmente tra interfaccia osso e tessuti molli.

Sono quindi queste forze da taglio a procurare la sintomatologia.

Indubbiamente la medicina rigenerativa può avere un ruolo anti-infiammatorio molto potente e localizzato, ma va considerata solo in casi selezionati.

La chirurgia

In caso di fallimento delle terapie conservative, la chirurgia rimane un’opzone affidabile.

Lo scopo della chirurgia è quello di rimuovere l’esostosi a livello del calcagno e, se presenti, le calcificazioni a livello tendineo.

Negli anni si è cercato di proporre interventi sempre meno invasivi, esaltando l’importante ruolo della mini-invasività.

Mini-invasivo infatti non significa solamente piccole incisioni chirugiche, ma si tratta di un insieme di dettagli fondamentali per un recupero più rapido e meno doloroso possibile per il paziente.

Ecco perché alle incisioni chirurgiche ridotte, si aggiunge il rispetto dei tessuti molli, che in questo specifico caso significa cerrcare di rimuovere l’esostosi ossea senza disinserire il tendine d’Achille. Questo è fondamentale per far si che il tendine d’Achille non perda la sua tensione originaria e quindi forza in push up, ovvero nella fase di spinta del passo.

Altrettanto importante è l’anestesia che deve essere periferica addormentando quindi la gamba in modo da aiutare maggiormente il paziente nel controllo del dolore post-operatorio.

Questa tipologia di intervento è eseguibile in day hospital o può prevedere una notte di ricovero.

Il paziente dovrà non appoggiare il peso del corpo sul piede operato per 2 settimane, mentre per le successive 2 settimane sarà concesso un carico graduale fino ad avere un carico completo a circa 4 settimane dall’intervento.

È prevedibile la ripresa di attività sportiva agonistica a circa 4-6 mesi dall’intervento.

Con l’esclusione delle rare lesioni da taglio, la rottura del tendine d’Achille è sempre l’espressione finale di un processo degenerativo cronico.

Spesso il paziente descrive con precisione un momento che ricollega alla lesione.

Tuttavia, in questi casi, è bene immaginarsi il tendine d’Achille come una corda sfilacciata in cui il meccanismo ultimo di lesione gioca un ruolo davvero marginale.

La rottura è espressione della malattia degenerativa.

Colpisce generalmente pazienti tra i 40 ed i 60 anni, ma non è rara negli atleti trentenni.

I pazienti descrivono classicamente una fitta, associata alla sensazione di un “calcio da dietro”.

In questi casi è possibile prevedere un percorso di guarigione completamente conservativo, che non richieda un intervento.

Questo tuttavia passa una serie di gessi (sopra il ginocchio) ed un periodo di immobilizzazione di circa 90 giorni.

Ecco perché, nei pazienti con una vita attiva, la soluzione chirurgica rappresenta la via più veloce ed efficiente per la guarigione dopo la rottura completa del tendine d’Achille.

La diagnosi di lesione può essere ottenuta anche solo clinicamente. L’ecografia è l’indagine di imaging di primo livello per confermare la diagnosi clinica.

Il ruolo della RMN (risonanza magnetica) è di stabilire l’entità della retrazione dei monconi di lesione per poter identificare la tecnica migliore.

La rottura del tendine d’Achille

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Perché si rompe il tendine d’Achille

Al contrario di quanto si può pensare la rottura del tendine d’Achille è nella stragrande maggioranza dei casi dovuta ad una degenerazione dello stesso.

Sono infatti decisamente più rare le ferite da taglio ovvero quelle in cui il tendine viene reciso completamente per cause esterne.

Nella maggior parte dei casi quindi la lesione tendinea dell’Achille è dovuta, per esempio, ad una pregressa tendinopatia non inserzionale.

Tipicamente il paziente descrive la situazione antecedente alla lesione, come “tranquilla”. Spesso avviene mentre si cammina o si sale le scale, ma senza nessun evento traumatico.

La sensazione descritta è come quella di avvertire un calcio. Molti pazienti ammettono di voltarsi per vedere chi sia il responsabile di questo gesto e di capire solo in un secondo momento, a causa della limitazione funzionale, quale sia il problema.

Il dolore non è di solito importante, mai quanto la limitazione funzionale: incapacità di stare in punta di piedi, ma più semplicemente di camminare normalmente o di salire o scendere le scale.

Diagnosi

La diagnosi di una lesione del tendine d’Achille è principalmente clinica e si avvale di alcuni test molto specifici. Indubbiamente utili per il completamento diagnostico possono essere alcuni esami come l’ecografia o altre volte la Risonanza Magnetica, utile in particolar modo per valutare il grado di retrazione dei monconi tendinei che condizionano la tipologia di intervento eseguibile.

Trattamento conservative e chirurgiche

Tecnicamente, specie nel paziente anziano, in caso di una lesione recente che non presenti una retrazione dei monconi tendinei, può essere preso in considerazione il trattamento conservativo.

Si tratta di un’opzione spesso preferita nei pazienti anziani o in quei pazienti che presentino un rischio importante nel sottoporsi all’intervento chirurgico.


La guarigione in questi casi si ottiene attraverso l’immobilizzazione in gesso o tutori per circa 90 giorni.

Trattandosi quindi di un decorso piuttosto impegnativo, la maggior parte dei pazienti attivi preferiscono ricorrere all’intervento chirurgico, che riduce i tempi di immobilizzazione favorendo un recupero più rapido.

Esistono varie tipologie di intervento chirurgico eseguibile ed indubbiamente la prima cosa da valutare è il grado di diastasi tra i due monconi di lesione del tendine e il tempo trascorso dal trauma (lesione acuta o lesione cronica-inveterata).

Se la diastasi tra i due monconi è minima, sono possibili interventi mini-invasivi che permettono un’ottima riparazione della lesione tendinea.

Nei casi in cui, invece, alla rottura del tendine sia seguita una diastasi importante allora la tipologia di intervento non può prevedere una semplice tenorrafia (ricostruzione del tendine), ma è consigliabile ricorrere ad un transfer tendineo e quindi il trasferimento di un tendine che entri in supporto del tendine d’Achille lesionato mediante un’azione meccanica, ma soprattutto biologica.

Questa seconda opzione è di solito da considerarsi nei casi cronici, in caso di lesione alta, o nelle lesioni inveterate in cui la rottura dell’Achille sia stata diagnosticata tardivamente (dopo 20 giorni).

Questa tipologia di intervento, sicuramente più sofisticata della precedente, permette tuttavia di ridurre l’invasivita’ dell’intervento favorendo un pieno recupero non solo nella quotidianità, ma anche nell’attività sportiva.

Il recupero post-operatorio

Qualsiasi sia la tipologia di intervento chirurgico eseguito è importante un’immobilizzazione per circa 40 giorni, per permettere la corretta guarigione del tendine.

Ritengo però fondamenetale che l’immobilizzazione venga effettuata posizionando la caviglia a 90 gradi fin da subito, in modo da evitare atteggiamenti in equinismo (punta di piedi) molto difficili da recuperare e che possono portare ad un inutile rallentamento della fase riabilitativa.

Il paziente arriva ad un carico completo precocemente, anche durante l’immobilizzazoone sotto gesso. Il ritorno alla guida è prevedibile dopo 2 o 3 mesi circa.

Un pieno recupero dell’attività sportiva, definibile anche come agonistica, può essere possibile intorno ai 6 ed i 9 mesi dall’intervento.

Ovviamente in questi casi la Medicina Rigenerativa gioca un ruolo sinergico per stimolare i processi rigenerativi messi in atto dalla chirurgia.

Infatti, PRP e Lipogems non sono una soluzione contro la rottura del tendine d’Achille, se usate isolatamente, rappresentano, invece, uno strumento per catalizzare una guarigione più veloce, se programmate insieme alla scelta chirurgica migliore e meno-invasiva