Alluce Valgo

L’alluce valgo è una patologia molto diffusa. Riguarda soprattutto noi donne.
I numeri ci dicono che è la prima causa di chirurgia del piede per l’universo femminile.
Cari uomini, non vi offenderete quindi se, come chirurgo e come donna, dedicherò principalmente questo testo ad un pubblico femminile!
Tecnicamente l’alluce valgo consiste in una deviazione laterale del primo dito che porta ad una alterazione anche delle altre dita vicine e ad un sovraccarico dei raggi minori ovvero dei metatarsi vicini.
Il problema dell’alluce valgo può essere un problema solo funzionale, solo estetico o coinvolgere entrambe le prospettive: funzione ed estetica.
Inoltre, esistono difetti estetici, ma anche “limitazioni estetiche”.
Per esempio, pensiamo a quante volte l’alluce valgo possa condizionarci nell’acquisto di una calzatura o nell’utilizzo di una scarpa che già abbiamo nel nostro armadio.
In realtà questo fenomeno si traduce anche in una limitazione sociale e, talvolta, condizionante anche sul lavoro.
Ecco perché una limitazione estetica può diventare una limitazione funzionale.
Estetica e funzione sono intimamente legate, soprattutto nella vita di una donna.
L’alluce valgo non fa eccezione!
Infine, ricordiamo come l’alluce valgo possa alternare momenti in cui ci ricorda della sua presenza mediante dolore e limitazione, ma in altri momenti possa passare come assolutamente inosservato, perché diventato asintomatico.
Tuttavia è raro, nella mia professione, imbattersi in una paziente con un alluce valgo completamente asintomatico durante tutte le sue fasi evolutive.
Un altro punto importante su cui vorrei far luce è la convinzione che la causa della deformità sia legata alle calzature indossate negli anni.
Troppo spesso, noi donne, ci colpevolizziamo, convinte che l’alluce valgo sia il risultato di un eccesso di vanità protratto negli anni.
Chiariamo quindi subito un concetto importante: non è la calzatura a causare l’alluce valgo.
Motivo per cui, dopo l’intervento, lo scopo è anche quello di tornare a poter scegliere di indossare le scarpe che ci piacciono.
La diagnosi di alluce valgo è decisamente semplice e spesso siamo noi stesse a giungere alla conclusione di avere l’alluce valgo.
Più importante e complesso è invece capire come questa deformità incida a livello del piede, considerando non solo l’avampiede, ma anche il retropiede.
Il dolore più tipico è a livello della “cipolla”, ovvero quella deformità causata al varismo del primo metatarso, che si accompagna spesso da una borsite, segno di infiammazione dei tessuti molli.
Non di rado però, il dolore del primo dito è accompagnato dal dolore a livello dei metatarsi minori: la metatarsalgia.
Talvolta la metatarsalgia è ancora più condizionante e limitante dell’alluce valgo.
Si può manifestare come dolore acuto, ma anche con una sensazione di scosse e parestesie.
Un’altra caratteristica che accompagna alluce valgo e metatarsalgia, è la deformità delle dita.
Queste, a causa della mancanza di spazio e della spinta esercitata dall’alluce durante il passo, possono deformarsi, dando luogo alle famose dita a griffe, dita a martello o dita a maglio.
Talvolta, queste deformità insorgono come fastidiosi piccolo calli sull’apice delle dita.
Noi donne tendiamo ad associarle all’uso dei tacchi, perché inizialmente sono deformità elastiche.
Nel tempo si stabilizzano nella posizione sbagliata, diventano rigide e nei casi peggiori, possono arrivare ad accavallarsi all’alluce o tra di loro.
Queste deformità rappresentano un’ulteriore forte limitazione per le nostre care e amate calzature, fino a diventare, per molte mie pazienti, la fatidica “goccia che fa traboccare il vaso” che le porta alla visita da me.
Benché questo tipo di patologia interessi spesso principalmente l’avampiede, ricordiamoci sempre del retropiede.
Il piede, infatti, va considerato come compreso da tre principali segmenti in parte indipendenti, ma sempre correlati l’uno con l’atro:
Ecco perché durante la visita vi chiederò di rimuovere le scarpe camminare avanti e indietro.
Poi, vi chiederò di girarvi di spalle e osserverò l’allineamento del retropiede rispetto al tendine d’Achille e alla gamba.
In alcuni pazienti infatti la deformità può essere causata o aggravata dal valgismo del retropiede, cioé da un piede piatto.
È un concetto che caratterizza la mia pratica. Lo spiego meglio.
La pronazione del retropiede, ossia la sua tendenza a collassare medialmente, può indurre una forte instabilità sull’alluce durante il passo, favorendo l’alluce valgo, ma anche determinando quella rotazione dell’alluce che, talvolta, appare evidente osservando la posizione del letto ungueale.
Per ridurre il rischio di recidiva di alluce valgo, è fondamentale considerare sempre il retropiede e le sue relazioni con l’alluce.
Spero che questo abbia reso più chiaro perché non mi basta vedere una radiografia standard per darvi un consiglio: devo vedervi camminare!
Frequentemente l’alluce valgo colpisce persone adulte, al termine della loro crescita.
Talvolta, però, l’alluce valgo può essere evidente già in un bambino o in un giovane adolescente.
In questo caso, ricordiamoci sempre che è una patologia diversa dal comune alluce valgo.
Si chiama alluce valgo giovanile e gli algoritmi e le decisioni terapeutiche da prendere sono diverse.
Perché è diverso?
A colpirci sono fondamentalmente tre peculiarità:
Come vi ho spiegato, la diagnosi di alluce valgo parte dalla clinica.
Osservarvi mentre state ferme in piedi davanti a me e mentre camminate a piedi nudi è fondamentale per valutare l’appoggio dei piedi e le eventuali deformità associate:
Gli esami diagnostici, invece, sono quelli che ci guidano per disegnare un planning chirurgico che sia davvero su misura per il vostro piede.
Infatti esistono diverse tecniche chirurgiche e applicarne sempre e pedissequamente una sola, senza considerare le caratteristiche di ogni singolo alluce valgo è indubbiamente fuorviante e limitante.
In particolare è bene partire da un principio semplice: le radiografie devono essere eseguite in carico, ossia stando in piedi, al momento dello “scatto”.
Ricordiamoci quindi, radiografia dei piedi in carico, meglio se bilaterale!
Il piede, infatti, va studiato mentre sostiene il corpo, eseguendo il suo lavoro funzionale.
L’immagine bilaterale è spesso utile perché offre la possibilità del confronto.
Siamo nel 2018, e come per la chirurgia, anche la terapia conservativa ha fatto passi da gigante.
In primis nei materiali: oggi esistono soluzioni sempre più ergonomiche e meno voluminose, adatte anche a scarpe esteticamente appaganti.
Quando mi capita di visitare pazienti a cui propongo un trattamento conservativo, spesso queste mi guardano come se fosse la fine delle loro aspettative sociali ed una limitazione inaccettabile.
Tranquille: sono una donna, prima di essere un chirurgo ortopedico e, il più delle volte, quello che non è accettabile per le mie pazienti, non lo è nemmeno per me.
Le terapie conservative, comunque, il più delle volte rappresentano un valido aiuto, spesso, però transitorio.
È impossibile, per esempio, che un plantare riallinei una deformità scheletrica, ma può avere un’importante funzione nel trattamento della metatarsalgia (il dolore sotto ai metatarsali), che sappiamo associarsi alla deformità dell’alluce.
Se però chiediamo ad un plantare di controllare il dolore a livello della “cipolla”, andiamo oltre le sue possibilità.
Infatti è l’attrito in questi casi la determinante del dolore ed un plantare ridurrà ulteriormente lo spazio disponibile per il piede nella calzatura.
Le possibili soluzioni non sono solo all’interno della scarpa, ma anche all’esterno: forma e suola della scarpa possono contribuire a migliorare la funzione grazie a design specifici.
Per esempio nel caso della metatarsalgia, per rendere più veloce ed efficace la fase propulsiva del passo (quella di spinta), una soluzione può essere rappresentata da scarpe con suola basculante.
Non si tratta di scarpe ortopediche, ma di calzature con una forma ed un aspetto normale.
Queste tipologie di scarpe hanno semplicemente una suola a dondolo, incurvata, che facilita la fase di spinta del passo eliminando o moderando il dolore.
Inoltre la densità della suola è un altro aspetto da considerare con attenzione. Al contrario di quello che abitualmente pensiamo, una scarpa con una suola più rigida può rappresentare un altro valido aiuto nei confronti della metatarsalgia.
La chirurgia è la cura per l’alluce valgo. Questo è assodato.
Non esiste, però, un’unica tecnica chirurgica per tutte le deformità.
Questo penso sia un tema molto sottovalutato dall’opinione pubblica.
Per noi donne però dovrebbe essere naturale comprendere perché non esiste un’unica soluzione per ogni problema.
È sufficiente confrontare il proprio alluce valgo con quello di un’amica o della propria madre per osservare come la parola “alluce valgo” sia una definizione che racchiude deformità profondamente diverse tra loro.
Spesso, mi capita che mi vengano chiesti consigli aspecifici e generali, che non è davvero possibile dare sui singoli casi specifici.
Vorrei infatti che trasparisse dalle mie parole e dal mio lavoro quotidiano una mia idea, in cui credo fermamente.
Ogni alluce valgo va studiato, osservando il piede mentre cammina e le radiofrafie in carico.
È un percorso necessario per arrivare a disegnare e progettare un planning (progetto chirurgico) che sia davvero su misura per ogni singola deformità.
Il momento della visita è importante perché è quello in cui ci si conosce, ci si parla di aspettative legate all’intervento.
È il momento in cui preparo il planning chirurgico, valutando non solo la deformità dell’alluce, ma anche la presenza di sovraccarico metatarsale e deformità delle dita.
È il momento in cui descrivo al paziente dove saranno le piccolissime incisioni che andremo a fare, quale tecnica utilizzeremo e quale attenzione abbiamo nei confronti della mini-invasività.
È importante che la paziente si immagini ogni momento del suo breve decorso e che si immagini davvero come sarà il suo piede, una volta guarito, perché la guarigione passa attraverso l’informazione.
Mini-invasività significa sostanzialmente rispetto dei tessuti: ossa e tessuti molli.
Se è chiaro a tutti cosa intendiamo per ossa, cosa si intende per tessuti molli?
È tutto ciò che non è scheletro, non solo la cute!
Infatti mini-invasività significa preoccuparsi di eseguire incisioni piccole o piccolissime, ma non solo.
Mini-invasività significa anche preoccuparsi di non scaldare in profondità mentre si opera con le frese dedicate e di creare un equilibrio tra muscoli e tendini.
È un principio che può essere applicato all’ortopedia in generale, ma che nel piede trova indubbiamente il suo maggior campo di applicazione:
L’elenco è interminabile.
Nel trattamento dell’alluce valgo, mini-invasività significa in particolare:
Cerchiamo di capire insieme cosa significhi nello specifico ogni passaggio.
Quindi dietro il concetto di mini-invasività, un chirurgia che si compie attraverso “buchini”, il motivo non è solo estetico, ma assolutamente funzionale e strettamente legato ai tessuti molli.
Impattare il meno possibile su cute e sottocute significa infatti assicurare una guarigione più rapida e più naturale, ma non solo.
Dopo avere eseguito le osteotomie, ovvero i tagli ossei, a livello dei metatarsi, i tessuti molli (muscoli e tendini in particolare) diventano davvero i protagonisti della correzione, guidando il ripristino della normale fisiologia del piede.
Questo rappresenta un vantaggio dal punto di vista della guarigione che avviene in modo più armonico e fisiologico.
La tecnica permette inoltre di non utilizzare mezzi di sintesi, affidando la correzione ai tessuti molli, come spiegato, e al bendaggio che viene eseguito in modo sterile in sala operatoria.
Ecco che il bendaggio non è più un gesto casuale, ma assolutamente fondamentale e deve seguire precise regole.
Talvolta, la grande deformità pre-operatoria, unita alla necessità di un recupero più veloce, suggeriscono di combinare questa tecnica mini-invasiva all’utilizzo di piccoli mezzi di sintesi dedicati (simili agli impianti che i dentisti usano in bocca) per stabilizzare la correzione.
Una fissazione con mezzi di sintesi ha l’obiettivo di assicurare una stabilità maggiore nella correzione dal primo giorno e può essere associata ai principi della mini-invasività.
La paziente deve uscire dall’ospedale camminando a pieno carico con la propria scarpa piana post operatoria senza ricorrere all’uso delle stampelle.
È parte del processo di guarigione. L’appoggio deve essere pieno, disteso, naturale.
Guardo sempre camminare le mie pazienti, all’uscita dall’ospedale, e ricordo loro di non appoggiare in protezione solo sul calcagno.
Bando alla paura, camminare a pieno carico con la scarpa corretta è la chiave del recupero!
Mantengo la medicazione normalmente per 15 giorni. Non abbiate paura se intravedete qualche piccolo macchiolina di sangue sulla medicazione.
Bendaggio e medicazione funzionano insieme come un natural tutore: vanno mantenute in sede!
A 15 giorni avverrà la desutura e il cambio della medicazione.
Sarò io stessa a rivedervi per accertarmi della corretta guarigione della ferita e per eseguire una seconda medicazione ed un nuovo bendaggio, questa volta più leggero.
Vi accompagnerà per 15 giorni.
A 30 giorni sarete libere da tutto: verrà rimossa medicazione e scarpa post-operatoria e potrete iniziare a deambulare con una scarpa comoda.
Attenzione non sarete ancora guarite: il piede tenderà a dare qualche dolore e a gonfiarsi specie con il caldo, ma sarete autonome, in grado di guidare e con l’avanzare delle settimane le calzature che sarete in grado di indossare diventeranno sempre di più!
Nelle prime settimane dopo la rimozione della scarpa post-operatoria, ricordate l’importanza dell’idrokinesiterapia (andare a camminare in acqua) per riprendere la deambulazione in modo spontaneo, con meno dolore, e rendere il passo più fisiologico.
Il tacco 12 lo calzeremo con orgoglio ai 90 giorni dall’intervento!
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