Alluce Rigido

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L’alluce rigido è una delle prime cause di chirurgia del piede.
Per essere più precisi è la prima causa di chirurgia del piede nell’uomo e la seconda nella donna, dopo l’alluce valgo.
Spesso i pazienti sono infatti molto informati sulle problematiche relative all’alluce valgo, tanto da arrivare a fare una diagnosi autonoma. È più raro che questo avvenga per l’alluce rigido.
Spesso i pazienti sono infatti molto informati sulle problematiche relative all’alluce valgo, tanto da arrivare a fare una diagnosi autonoma. È più raro che questo avvenga per l’alluce rigido.
Quando faccio una diagnosi di alluce rigido, spesso ho davanti a me un paziente stupito, che mi fa vedere che – in realtà – il suo alluce si muove.
Altrettanto spesso il paziente mi confessa che il dolore è provocato dall’attrito nella scarpa da una sorta di cipolla, che tende ad arrossarsi.
Questi segnali portano il paziente a pensare di avere un alluce valgo.
Sfatiamo subito un mito: alluce rigido non é sinonimo di “alluce inchiodato” che non si muove.
L’alluce rigido è una deformità scheletrica in cui inizialmente l’alluce si muove, ma il centro di rotazione dell’articolazione è alterato.
Infatti, nell’alluce rigido il primo metatarsale è elevato rispetto alla falange con cui si articola.
Questo determina un’alterazione del movimento dell’articolazione dell’alluce stesso che porta ad una sollecitazione anomale di cartilagine e scheletro.
Nel tempo si formano esostosi dorsale (la cipolla che si arrossa e “brucia”), metatarsalgia (legata alla ridotta funzione dell’alluce in fase di spinta, che obbliga il picco metatarsali ad un eccesso di lavoro) e, ovviamente, rigidità e dolore all’alluce.
La caratteristica più evidente di questa patologia è, quindi, la presenza dell’esostosi dorsale (protuberanza ossea a livello del dorso del piede in corrispondenza dell’articolazione metatarso falangea) e la comparsa di una callosità tra le due falangi dell’alluce, segno indiretto di sovraccarico.
Raramente l’alluce rigido si presenta isolato.
Più spesso il primo sintomo che porta un paziente nel mio studio è un dolore tipicamente plantare a livello dei metatatarsali, la metatarsalgia.
Molti di loro si sono ampiamente documentati online, come state facendo voi, e sono giunti alla conclusione che il problema sia il Neuroma di Morton.
Non è sempre semplice, quindi, fare chiarezza su queste informazioni!
È però fondamentale chiarire e spiegare al paziente.
Sono, infatti, convinta che la guarigione passi attraverso la conoscenza:il mio compito è proprio quello di trasmettere la mia diagnosi e di motivare e spiegare le scelte terapeutiche.
Immaginiamo, nel caso specifico, la descrizione dell’alluce rigido: si flette e si estende poco, in poche parole si muove poco, ma soprattutto questo movimento ridotto avviene rispetto ad un centro di rotazione sbagliato.
Pensiamo ora al passo. Esiste una fase di appoggio ed una fase di spinta (propulsiva), collegate da una fase intermedia.
Ebbene, l’alluce rigido non è il motore efficiente che dovrebbe essere nella fase propulsiva del passo.
Questa funzione viene in parte trasferita ai metatarsali, che però non hanno la struttura anatomica esatta e si difendono.
Inizialmente con ipercheratosi (voluminosi calli plantari), poi con la sensazione di bruciore e formicolio (segno ulteriore di sovraccarico), poi con il dolore franco: parliamo di metatarsalgia da trasferimento.
Ecco perché non è raro che i pazienti giungano alla visita lamentandosi del solo dolore plantare senza riportare una reale problematica a livello dell’alluce.
In realtà basterà vederli camminare a piedi nudi per capire quale sia il reale problema.
Altre volte il dolore coinvolge solo l’alluce specialmente alla mobilizzazione attiva e passiva.
I pazienti lamentano forti ed improvvise scosse, le donne non riescono a calzare scarpe con un décolleté in quanto entra in attrito con l’esostosi ossea dorsale.
La limitazione funzionale può essere importante, tanto da limitare una persona nelle sue attività quotidiane, ma anche un atleta nella sua attività agonistica.
Si tratta di quei casi in cui è l’alterazione del centro di rotazione dell’articolazione ad essere responsabile della maggior parte della sintomatologia.
Non di rado alluce rigido e metatarsalgia da trasferimento si presentano insieme.
Questi sono anche i casi in cui è più semplice trovare anche un altro tipo di deformità dell’avampiede: dita a griffe e dita a martello.
Queste possono essere un chiaro segno dell’elevato sovraccarico che i metatarsi sono obbligati a compiere per sostenere la fase di spinta del passo, al posto dell’alluce.
Il sovraccarico prolungato può indurre uno sbilanciamento tendineo e muscolare tale da provocare la deformità delle dita.
La visita specialistica è quindi fondamentale per comprendere sintomatologia e deformità ed ottenere una diagnosi coerente che passi attraverso la diagnosi differenziale.
È un termine di uso comune in Medicina, che spiega un processo mentale che compie il medico, analizzando i sintomi ed arrivando alla soluzione del problema, escludendo passo per passo le possibili diagnosi sulla base dell’analisi dei sintomi, per poi arrivare ad individuare quella che reputa come la diagnosi corretta ed il piano terapeutico appropriato.
Per me è importante vedervi camminare a piedi nudi per capire quale sia il problema.
Questo è quello che ho imparato nel mio percorso professionale, che mi ha portato a lavorare nei maggiori centri di riferimento italiani e americani.
Ho lavorato prima presso IRCCS Galeazzi, poi a Baltimora, negli Stati Uniti, con Lew Schon e Mark Myerson (due dei più grandi chirurghi americani della caviglia e del piede), con cui ho sviluppato e pubblicato diversi studi.
Ebbene, oggi che sono tornata in Italia, è ancora più chiaro.
Il filo conduttore che tutti noi medici, specialisti ortopedici dedicati alla chirurgia del piede e della caviglia, abbiamo è l’osservazione del passo del paziente.
Questo è il momento principale del nostro esame obiettivo.
È la chiave del mio lavoro:
Ora spero sia chiaro perché, nel mio studio, vi chiederò ti togliervi le scarpe, le calze e vi osserverò camminare a piedi nudi, chiedendovi di fare alcuni semplici test, come mantenere l’equilibrio su un piede solo o andare in mezzapunta.
Ora che spero sia chiaro quello che vi chiederò di fare durante la visita, vorrei che fosse altrettanto chiaro cosa sarebbe bene avere a disposizione al momento della visita.
L’esame principe è indubbiamente la radiografia.
Anche in questo caso non bisogna essere però superficiali: i dettagli contano per me e per voi!
La radiografia del piede deve essere pianificata ed eseguita in carico, ovvero stando in piedi e non da straiati al momento dello “scatto”.
Infatti il piede, così come la caviglia, lavorano in carico ed in carico vanno sempre studiati.
Esami come RMN o TAC, possono rivelarsi utili in casi specifici, per esempio per studiare eventuali danni cartilaginei, ma sono indagini di secondo livello, che dovrebbero sempre accompagnarsi e non sostituire la radiografia in carico.
La terapia conservative, come per altre patologie, è il primo passaggio da affrontare.
Non sono inutili perdite di tempo, perché per tanti pazienti rappresentano una soluzione al problema.
Ricordiamoci che io stessa, prima di essere un medico, sono una donna, a cui piace fare sport ed indossare calzature alla moda.
Questo non è incompatibile con la scelta delle terapie conservative.
Oggi, infatti, l’evoluzione dei materiali e e della conoscenza scientifica ci permette di coniugare tutto questo.
Nel caso specifico dell’alluce rigido si pensa che l’esercizio di mobilizzazione dell’alluce aiuti a ripristinare il movimento. Questo è un falso mito.
Infatti, la causa principale dell’alluce rigido, che si manifesta ancora prima della perdita di movimento, è la presenza di movimento lungo un centro di rotazione sbagliato, in poche parole non su un asse ideale.
Ecco perché il plantare può essere una chiave vincente.
Il plantare, infatti, non riallinea il piede, ma lo porta a lavorare nel rispetto di assi anatomici e fisiologici.
Questo finché lo si indossa.
Se parliamo poi di una metatarsalgia, il plantare eseguito con uno scarico dei metatarsali può essere un valido supporto.
Nei casi iniziali esistono però delle soluzioni ancora meno impegnative da un punto di vista di ingombro, come le solette shock absorber, che permettono di dissipare il sovraccarico grazie alle caratteristiche meccaniche dei loro materiali, occupando solo pochi millimetri nella scarpa, poco importa che sia una scarpa da runner o un décolleté con un tacco impegnativo.
L’aiuto conservativo, però, può arrivare anche dall’esterno, dalla forma della suola della scarpa.
Consiglio ai miei pazienti per aiutare l’alluce nella sua fase di spinta, nei casi sintomatici o in attesa della chirurgia, l’utilizzo di scarpe con suola basculante, per favorire la fase propulsiva del passo.
Inizialmente, purtroppo, questo tipo di scarpe erano indubbiamente esteticamente poco appaganti. Oggi, invece, anche case di moda affermate, offrono modelli di questo tipo.
Insieme è possibile individuarne alcuni.
Infine, l’utilizzo di scarpe con suola rigida è spesso da preferire alle suole più morbide che obbligano l’alluce a compiere un eccesso di lavoro.
Infine, l’utilizzo di scarpe con suola rigida è spesso da preferire alle suole più morbide che obbligano l’alluce a compiere un eccesso di lavoro.
La chirurgia è indubbiamente una soluzione a cui si ricorre spesso come soluzione per l’alluce rigido.
Si tratta di interventi, il più delle volte completamente mini-invasivi e pianificabili in regime di Day Hospital.
Mini-invasività in chirurgia non significa soltanto piccole incisioni.
Quando si parla di bassa o mini invasività, si descrive un fenomeno che segue principi di “fast-track” (recupero veloce) anche per la chirurgia dell’avampiede.
Oggi tutto questo è possibile, grazie ad un’attenzione scientifica nei confronti di diversi parametri, volti tutti ad ottenere un buon controllo del dolore nel post operatorio, un carico immediato ed un ritorno a calzature appaganti ed attività sportiva nel minor tempo possibile.
La tecnica chirurgica è ovviamente fondamentale: mini-invasività in questo ambito significa piccole incisioni che possono essere di qualche centimetro per la chirurgia dell’alluce e pochi millimetri (dei veri e proprio buchini) per il trattamento associato di alluce e metatarsalgia.
Mini-invasività vuole anche dire tempi chirurgici ridotti, per traumatizzare il meno possibile i tessuti molli e favorire un recupero veloce.
La tecnica chirurgica si avvale, attraverso piccole incisioni, di osteotomie correttive di ri-orientamento del primo metatarso nel caso in cui si individui nel centro di rotazione scorretto la principale causa della patologia.
Nei casi, invece in cui i problemi maggiori siano dati dall’ingombro della “cipolla” dorsale o dalla metatarsalgia, l’intervento è pianificabile ed eseguibile con piccolissimi “buchini”, attraverso i quali è possibile eseguire tutte le correzioni necessarie.
In ogni caso, l’utilizzo dei mezzi di sintesi è ridotto ai minimi termini, prevedendone l’utilizzo solo a livello delle osteotomie di riallineamento del primo metatarso (solo nei casi in cui si rivelano davvero necessarie).
Anche in questi casi, comunque, le dimensione delle viti, che rimangono completamente affondate e nascoste nell’osso, sono simili a quelle degli impianti che utilizzano i dentisti (pochi millimetri di diametro: da 2.5 a 3.5).
L’intervento è ovviamente eseguibile con un’anestesia periferiferica che permette di addormentare solo l’arto da operare.
In caso di necessità emotive espresso dal paziente, è possibile associare la procedura ad una sedazione.
L’aspetto però innovativo dei nostri protocolli anestesiologici è di considerare l’anestesia come uno strumento che non comincia e finisce in sala operatoria, ma – al contrario – un supporto che prosegue anche dopo, favorendo un decorso sereno e permettendo un carico sul piede immediato.
Fast-track per l’alluce rigido è sinonimo di un percorso fluido e veloce.
Come ho spiegato, l’alluce rigido costringe l’articolazione a lavorare lungo un asse di rotazione non fisiologico.
Il risultato è un incremento degli stress biomeccanici per tutti i tessuti, anche per la cartilagine, che può danneggiarsi ed iniziare una degenerazione artrosica diffusa.
In effetti, l’alluce rigido è una lesione pre-artrosica, che, trascurata, porta ad un artrosi dell’alluce.
Pianificare un riallineamento dell’articolazione, è, quindi, un atto di “joint-preserving surgery”, ossia un termine inglese che indica una ricostruzione del piano articolare, per prevenire l’evoluzione artrosica.
Tuttavia, i danni cartilaginei presenti prima dell’intervento, difficilmente possono risolversi spontaneamente, anche dopo un riallineamento.
Fino ad oggi la “joint-preserving-surgery” aveva l’obiettivo di rallentare o arrestare l’evoluzione artrosica.
Era ancora troppo ambizioso pensare di tornare indietro e cancellare, come con un colpo di spugna i danni cartilaginei.
A dire il vero, anche oggi questo netto colpo di spugna non esiste. Tuttavia, lo stiamo avvicinando a grandi passi.
Infatti, la medicina rigenerativa, associata alle tecniche di riallineamento, può indurre una guarigione o, quantomeno, una notevole riduzione del danno cartilagineo pre-esistente, contribuendo in modo vincente non solo ad arrestare il processo artrosico, ma inducendo addirittura una regressione della patologia.
Ecco perché, durante una mia visita, in casi isolati e specifici, può succedere che vi consigli di associare l’opzione chirurgica ad un supplemento di medicina rigenerativa, il più delle volte utilizzando la frazione stromale del tessuto adiposo.
In poche parole, consiglio di associare al gesto chirurgico, un prelievo del tessuto adiposo, da cui estrarre le cellule multipotenti normalmente residenti nel grasso.
Queste, posizionate in corrispondenza del danno cartilagineo, possono indurre una rigenerazione tessutale.
La chirurgia dell’avampiede è davvero molto cambiata rispetto al passato e permette un ottimo controllo del dolore nel post-operatorio, ma soprattutto un recupero davvero molto più veloce rispetto al passato.
La mia regola è il carico immediato, subito dopo l’intervento.
Ovviamente con la scarpa dedicata che permetta l’appoggio e la spinta anche dell’avampiede operato.
Il paziente quindi potrà non solo passare la prima notte post-operatoria nel proprio letto di casa, ma ci arriverà camminando!
La deambulazione passa, quindi, attraverso l’utilizzo di una scarpa post-operatoria piana, che è diversa dalla Scarpa Talus.
Infatti, la piana, come ribadito sopra, permette un appoggio sicuro di tutto il piede, anche dell’avampiede operato.
Normalmente consiglio di usare questa scarpa piana per 30 giorni.
A 15 giorni dall’intervento prevedo il primo controllo post-operatorio. Rimuovo il primo bendaggio ed eseguo la desutura.
A 30 giorni dall’intervento, il paziente torna ad indossare una scarpa normale, abbandonando la scarpa post-operatoria.
Nei giorni seguenti la rimozione del bendaggio e della scarpa post-operatoria (30 giorni circa), il piede può apparire ancora gonfio e, soprattutto a fine giornata può essere presente un po’ di dolore.
È importante sapere che si tratta del normale processo di guarigione per raggiungere il quale bisogna comunque camminare senza timore.
A 60 giorni dall’intervento sarà possibile indossare qualsiasi tipologia di scarpa ad esclusione di tacchi alti e impegnativi, per cui, normalmente, chiedo di attendere 90 giorni dall’intervento.
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