Piede Piatto

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Il piede piatto è una delle più comuni deformità del piede.

La diagnosi di piede piatto o sindrome pronatoria è soprattutto clinica proprio per la chiara presenza di alcune tipiche caratteristiche che ad un occhio attento, come quello di uno specialista, non possono sfuggire.

Un piede piatto o pronato andrebbe sempre osservato, facendosi dare le spalle dal paziente. Infatti, in questo modo, diventa evidente il tipico appiattimento della volta plantare, ma anche la tendenza del calcagno a pronare, deviando quindi, verso l’esterno, rispetto all’asse della gamba.

A queste caratteristiche, si può aggiungere l’abduzione dell’avampiede, non sempre presente, ma allo stesso modo caratteristica.

Accanto all’osservazione del paziente, è importante anche l’intervista con il paziente, per individuare le aree di dolore, che possono essere sia interne alla caviglia, lungo il decorso del tendine tibiale posteriore, che esterne, sotto il malleolo peroneale (indice di un sovraccarico meccanico dell’articolazione sottoastragalica).

Piede piatto dell’adulto e del bambino

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È fondamentale, nella pratica medica, non confondere un bambino con un “piccolo adulto”.

Il piede piatto nel bambino infatti, è fisiologico fino agli 8 anni di età circa. Di conseguenza non è corretto programmare una correzione chirurgica o con plantare prima di questa età.

In seguito bisognerà valutare se il grado di pronazione del piede è tale per cui parlare di patologia piuttosto che di una semplice caratteristica anatomica. Per questo la visita dello specialista è fondamentale!

Quando si parla di piede piatto nell’adulto le considerazioni da fare sono diverse. La principale diversità risiede nel fatto che un adulto, rispetto ad un bambino, raramente è asintomatico.

Inoltre, un’altra caratteristica della patologia da tenere fortemente in considerazione è sicuramente la tipologia dei sintomi e il loro aggravamento nel tempo.

Il piede piatto: sintomi e deformità

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Il piede piatto può essere classificato a seconda della sua gravità.

Classificare in medicina è sicuramente un principio molto utile per il medico, ma deve essere sempre adattato sul paziente.

Nella pratica clinica di un medico è fondamentale avere in mente un algoritmo terapeutico, che permette di prendere decisioni come se si avesse davanti un completo diagramma di flusso.

Durante le mie viste, probabilmente percepirete un riferimento costante ad un algoritmo terapeutico preciso.

È quanto ho vissuto, appreso, metabolizzato e fatto mio nella mia esperienza americana.

Ecco perché la mia personale “flow-chart” fa riferimento all’algoritmo descritto e pubblicato dal mio maestro, Mark Myerson, uno dei padri fondatori della chirurgia del piede moderna negli Stati Uniti e nel mondo.

È il primo chirurgo al mondo che ha pensato di associare alle procedure osteotomiche (ossia di riallineamento dello scheletro) le trasposizione tendinee.

Una rivoluzione importante, perché il piede è scheletro, ma è anche movimento. E questo passa attraverso l’equilibrio di muscoli e tendini.

Per semplificare e rendere più fruibile questa classificazione possiamo dire che il piede piatto si suddivide principalmente in 4 classi:

  1. il primo grado vede un piede piatto poco sintomatico, che ha per lo più le caratteristiche di un piede normale, ma nel quale sono presenti i primi segni di pronazione;
  2. Il secondo grado prevede un piede piatto sintomatico che presenta le tipiche deformità: pronazione del piede e del retropiede, talvolta abduzione dell’avampiede, ma che mantiene le caratteristiche della flessibilità;
  3. Il terzo grado ci parla di un piede piatto rigido in cui le deformità sono sempre più marcate, ma nel quale è impossibile indurre una correzione dall’esterno a causa della sua rigidità;
  4. Il quarto grado vede un coinvolgimento della caviglia che tende, cosi come il piede, a deformarsi in valgo, la cui correzione deve essere prevista nel trattamento chirurgico.

Per essere ulteriormente più chiari, semplificando maggiormente questa classificazione che rimane comunque molto tecnica, possiamo parlare di due principali tipologie di piede piatto:

  • il piede piatto flessibile;
  • il piede piatto rigido.

Non fatevi ingannare però: la flessibilità o rigidità del piede non sono per forza correlati con il grado di sintomatologia. La vera differenza risiede principalmente nell’età del paziente, nel grado di degenerazione articolare e nella tipologia di intervento chirurgico a cui ricorrere.

Età del paziente

Piede piatto flessibile: solitamente quando si parla di piede piatto flessibile ci troviamo davanti ad un paziente giovane, che riferisce un dolore inizialmente insorto durante attività sportiva, ma poi progredito tanto da diventare persistente anche dopo una semplice camminata. Il dolore è tipicamente presente a livello del tendine tibiale posteriore.

Il piede piatto rigido: al contrario è più spesso presente in pazienti di età più matura. Riferiscono essi stessi di aver notato una maggiore rigidità del piede e nel passo che diventa più difficile e faticoso. Il dolore è un dolore articolare che spesso colpisce l’articolazione sottoastragalica: l’articolazione situata sotto la caviglia.

Degenerazione articolare

Nel piede piatto flessibile non ci troviamo davanti ad una degenerazione articolare e il goal in questi casi è proprio evitare che questo accada.

Il dolore del paziente è un dolore tendineo, muscolare, legato allo sforzo che queste strutture compiono nel tentativo di opporsi alla deformità.

Questo non vuol dire che il paziente non riferisca un cambiamento progressivo della forma del piede. Questo può essere un indice importante che ci invita a prendere seriamente in considerazione la terapia chirurgica che rimane comunque l’unica vera terapia con una funzione non palliativa, ma di trattamento definitivo della deformità.

Il piede piatto rigido al contrario vede un coinvolgimento articolare importante. Il più delle volte ci troviamo infatti davanti ad un processo artrosico degenerativo che non è solo il responsabile della deformità, ma anche del rapido e talvolta, drastico cambiamento del piede.

In questi pazienti la degenerazione tendinea è molto avanzata tanto che non raramente il tendine tibiale posteriore viene repertato alla RMN come interrotto.

Inoltre può essere presente un forte ipotono della muscolatura del polpaccio.

Questa patologia può influenzare significativamente la qualità della vita dei pazienti a causa delle serie limitazioni funzionali legate alla forte sintomatologia, alla zoppia che nei casi più gravi può rendere quasi impossibile la deambulazione.

Talvolta, inoltre, si assiste ad una vera e propria deformazione anatomica di tutto il complesso piede-caviglia con un completo collasso di entrambi verso l’interno: questo è il caso più grave di piattismo del piede catalogato come deformità di 4* grado.

Tipologia di intervento chirurgico

Nel piede piatto flessibile, proprio sfruttando la sua flessibilità sono possibili interventi correttivi conservativi sul movimento come osteotomie e transfer tendinei (vedi di seguito).

Quando si parla di piede piatto rigido, si parla di un piede che ha perso completamente o quasi la sua mobilità a discapito della stabilità, responsabile della progressiva deformazione del piede.

Ecco perché in questi casi sono indicati interventi volti al ripristino della normale forma del piede e della stabilità.

Si parla quindi di artrodesi cioè della fusione di due articolazioni (vedi di seguito).

La diagnosi di piede piatto

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La diagnosi è una fase fondamentale per cui bisogna affidarsi al corretto specialista.
L’esame obiettivo rimane fondamentale per l’ortopedico.

Nessun esame strumentale può sostituire la clinica. Osservare il paziente a piedi nudi mentre cammina, valutare l’appoggio monopodalico e la capacità di andare in mezzapunta, sono solo alcuni dei test fondamentali che a mia volta ho visto applicare dai migliori specialisti a livello internazionale.

Non fatevi ingannare: gesti semplici possono rivelare informazioni fondamentali.

L’esame fondamentale da richiedere in questi casi e più in generale per lo studio del piede e della caviglia, è la radiografia in carico.

L’esame eseguito in carico, cioè stando in piedi, ci permette infatti di studiare il piede proprio mentre appoggia e quindi in una situazione reale.

Valutare l’anatomia del piede nella sua interezza è fondamentale. Questo vale sia quando si analizza una deformità dell’avampiede che del retropiede.

Non bisogna mai pensare che una deformità sia indipendente da un’altra a priori, ma partire dal presupposto che il piede è da considerarsi sempre come un tutt’uno.

Parlare di avampiede, mesopiede e retropiede non deve far cadere nell’inganno che si tratto di tre settori separati l’uno dall’atro, l contrario essi sono strettamente connessi.

Ecco perché alcuni esami come la Risonanza Magnetica (RMN) o la Tomografia computerizzata (TAC) che raramente vengono eseguiti in carico, possono essere richiesti dallo specialista in un secondo tempo, a diagnosi avvenuta, per studiare alcune particolari caratteristiche della patologia.

Piede piatto: le terapie conservative

Le terapie conservative, in primis, guardano dentro e fuori dalla scarpa.

 Parlare di terapie conservative nel trattamento della sindrome pronatoria, significa, come prima cosa, ottenere un appoggio plantare compensato.

In secondo luogo, ridurre lo stress a cui i tendini del nostro piede vengono sottoposti, dando loro rinnovata elasticità.

Il plantare

Il plantare è, forse, lo strumento più diffuso nel trattamento di questa patologia, ma deve essere chiaro che cosa comporti il suo utilizzo e quali siano i suoi limiti.

Il plantare non ha finalità correttiva.

È questa una frase che ripeto spesso ai miei pazienti, non per sminuire l’utilità del plantare, ma per evitare false aspettative.

Il plantare non può correggere una sindrome pronatoria. Non penso sia neanche completamente corretto pensare che utilizzare il plantare possa evitare o rallentare il peggiorare della pronazione del piede.

Quindi, quando si utilizza un plantare? Principalmente per combattere il dolore, in casi selezionati, per cercare di allontanare l’intervento chirurgico.

Il plantare può essere utile più in generale nei casi di piede piatto in cui la sintomatologia si è appena manifestata.

Il plantare infatti ha un ruolo di sostegno della volta mediale, la parte del piede ciò che tende a pronare, collassando verso l’interno. Nel momento in cui è indossato offre sollievo al tendine tibiale posteriore, il tendine che si oppone al collasso della volta mediale, ma che nei casi di piede piatto, non riesce più a svolgere il suo compito e, proprio come una corda che si sfilaccia.

Il plantare quindi non va paragonato per esempio ad un apparecchio, che ha il compito di riallineare in denti, ma che una volta tolto permette il mantenimento della correzione ottenuta.

Il plantare quindi è utile, nel controllo della sintomatologia, finché viene indossato.

Le scarpe da pronatore e le scarpe anti-pronazione

Un’altra strategia, più moderna, ma altrettanto utile è quella di guardare fuori dalla scarpa, alla suola.

Esistono, infatti, calzature pensate per lo sport (da runner), che hanno la suola disegnata per compensare un difetto d’appoggio.

Esistono, infatti, calzature da pronatore per chi ha il piede piatto e da supinatore, per chi lo ha cavo. Esistono poi calzature neutre, per chi non ha bisogno di un compenso.

Spesso questa scelta è lasciata ai negozi tecnici, quando in realtà, nello studio e nell’analisi del passo, lo specialista dovrebbe avere un ruolo principe.

Penso, infatti, che la prevenzione, nel caso della sindrome pronatoria passi attraverso la scelta corretta quando si fa sport, e quando si corre.

Lo stretching del tricipite, lo yoga e le terapie fisiche

E’ evidente come una deformità scheletrica obblighi i muscoli ed i tendini ad un eccesso di lavoro.

Spesso un paziente con il piede piatto lamenta tendinopatia a livello del tibiale posteriore, tendiniti, che coinvolgono il tendine d’Achille e fasciti plantari.

Innanzitutto, il primo trattamento è la prevenzione. Questa passa attraverso lo stretching del tricipite (il polpaccio) e dei flessori.

È prevenzione e cura.

Non raramente mi capita di proporre a pazienti runners, di dedicare del tempo allo stretching del tricipite, che davvero rappresenta una forma moderna di rieducazione propriocettiva.

Per questo, ritengo che un’attività fisica a cui tanti pazienti con il piede pronato dovrebbero pensare è lo Yoga, che contribuisce a rieducare da un punto di vista di equilibrio il piede e di elasticità i suoi tendini.

Ovviamente, poi, quando le tendinopatie si fanno manifeste, le terapie fisiche hanno il ruolo di stimolare l’iperossigenazione delle strutture malate e sovraccaricate.

In questi casi, Tecarterapia, onde d’urto e Laserterapia sono gli strumenti che propongo ai pazienti per velocizzare il percorso di guarigione, che, comunque, non può prescindere dalla pratica quotidiana dello stretching.

Piede piatto: l’intervento chirurgico

Esistono, parlando del piede piatto dell’adulto, due principali tipologie di interventi chirurgici.

Si può parlare di osteotomie correttive e transfer tendinei o di artrodesi.

Le osteotomia di calcagno (varizzanti o in allungamento ) associate ai transfer tendinei (principalmente Transfer del Flessore Lungo delle Dita PRO Tibiale Posteriore) vengono eseguite nei casi di piede piatto flessibile con lo scopo di preservare il più possibile la mobilita del piede, correggendone le sue caratteristiche patologiche.

Le osteotomie di calcagno hanno lo scopo di riallineare il calcagno: nel caso di osteotomie varizzanti si vuole riallineare il calcagno rispetto all’ Achille. Se parliamo di osteotomie in allungamento invece, ciò che si vuole ottenere è un riallineamento dell’avampiede.

Vista la natura conservativa di questa tipologia di intervento, che mira ad una correzione anatomica senza dover sacrificare il movimento, questa tipologia di intervento viene utilizzata nella correzione del piede piatto flessibile.

Vi sono poi alcune varianti che possono essere applicate a seconda delle caratteristiche anatomiche del piede in questione, ma di fatto l’intervento prevede, di prassi, un tempo chirurgico sull’osso (osteotomie ossee) e un tempo chirurgico sui tessuti molli (transfer).

Il transfer tendineo è un intervento che permette ad un tendine di entrare in supporto di un altro che non funziona o che ha parzialmente perso la sua funzionalità.

Nel caso del piede piatto sarà il tendine Flessore Lungo delle Dita ad andare in supporto del tendine Tibiale Posteriore, che è quella famosa corda di cui parlavamo prima , che nel piede piatto spesso entra in difficoltà infiammandosi, sfilacciandosi, fino a rompersi completamente.

Diverso è l’intervento di artrodesi e diversi sono i piedi che richiedono questo tipo di intervento.

Come spiegato anche precedentemente e come dice la parola stessa, il piede piatto rigido, è un piede che ha perso la sua plasticità.

Questo significa che anche tentando di mobilizzarlo la rigidità dello scheletro sarà per lo più’ inflessibile, non lasciando spazio a nessun movimento.

In questi casi le deformità sono peggiori, abbiamo segni di artrosi a livello articolare e il minimo movimento residuo a livello delle articolazioni sottoastragalica e astragalo scafoidea sono fonte di dolore.

Si ricorre quindi all’intervento di duplice artrodesi delle articolazioni sottoastragalica e astragalo scafoidea con la finalità di bloccare il piede nella giusta posizione, dando un piede che appoggia correttamente (plantigrado) e che non ceda durante il passo.

Benché possa sembrare invasivo, se con la corretta indicazioni, questo è uno degli interventi nel nostro distretto, che ha maggior successo, proprio per la sua affidabilità e perché duraturo nel tempo.

La chirurgia mini-invasiva per il piede piatto

Il mio interesse principale in chirurgia del piede è la mini-invasività.

Ovviamente, la mini-invasività passa attraverso tagli che si sono fatti nel tempo via via sempre più piccoli, fino a diventare davvero “piccoli buchini”. È un tema caldo e che, come chirurgo e come donna, vivo come importantissimo.

Quando, infatti, mi sono approcciata alla chirurgia, vigeva il detto “grande taglio, grande chirurgo”, che stressava la necessità per il chirurgo di vedere e controllare bene la struttura anatomica da operare, ma aveva, di per sé, anche un connotato abbastanza “machista” di mortificazione dell’estetica, che, invece, è una parte integrata del nostro piede e del nostro corpo in generale.

Noi siamo anche come ci vediamo.

Ecco perché la mini-invasività ha suscitato un grande interesse nella mia attività di chirurgo, da subito.

Oggi è davvero possibile controllare e correggere le strutture anatomiche patologiche, riducendo la loro esposizione, riducendo tagli e cicatrici.

Questo non è l’unico motivo, per cui ritengo che la chirurgia mini-invasiva sia il futuro ed il presente, anche nell’ambito della chirurgia del piede piatto.

La mini-invasività, infatti, non è solo un esercizio di virtuosismo nel mantenere i tagli piccoli: sono un chirurgo ortopedico e mi interesso di funzione.

La mini-invasività è una filosofia di ripristino della funzione nel rispetto dell’anatomia del paziente.

Mini-invasività significa raggiungere l’obiettivo di un piede allineato e funzionale, riducendo l’aggressività sui tessuti e le diverse strutture anatomiche, con l’obiettivo nobile di un recupero veloce e di un ripristino delle funzioni altrettanto efficace e rapido, compatibilmente con i tempi biologici di guarigione.

Quando opero un mio paziente, l’obiettivo, che condivido con lui, è quello di un risultato finale che preveda un piede morfologicamente corretto, ma anche un piede che “funzioni” al meglio, compatibile con attività sportiva e calzature alla moda.

Tutto questo passa anche attraverso la mini-invasività.

Con queste premesse, è più semplice comprendere perché per tanti miei pazienti, la correzione di un piede piatto flessibile, passi attraverso una pianificazione di incisioni davvero molto piccole, associate però ad una correzione scheletrica e ad un bilanciamento tendineo che rispetti l’algoritmo del mio maestro.

I mezzi tecnici di oggi lo rendono possibile in casi selezionati.

Ritorno in campo

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Come è facile immaginare il recupero post intervento è correlato all’intervento chirurgico effettuato.

Nel caso della correzione di un piede piatto flessibile, il decorso post operatorio prevede uno stivaletto gessato, che permette di muovere le dita del piede e ginocchio, da indossare per 4 settimane, sul quale, in casi selezionati, è concesso l’appoggio da subito.

Il gesso verrà effettuato a 90° gradi fondamentali per evitare spiacevoli contratture della muscolatura posteriore della gamba, difficili da recuperare.

Dopo la rimozione del gesso sarà possibile tornare a camminare autonomamente. È importante però non confondere il cammino autonomo con la felicità e soddisfazione piena del paziente che viene raggiunta a 3 mesi circa dall’intervento.

Il/la paziente potrà tornare comunque a guidare la macchina a 6 settimane dall’intervento, mentre l’autonomia verrà recuperata una volta concesso il carico, dopo la rimozione del gesso.

I tempi si allungano per l’intervento di duplice artrodesi, interventi più complesso, ma comunque di alta soddisfazione per paziente e chirurgo.

Lo stivaletto gessato, delle stesse dimensione e forma rispetto al precedente, verrà indossato per 4 settimane, anche in questo caso, senza concedere il carico al paziente.

Trascorse le prime 4 settimane verrà sostituito con un tutore sbloccato sul quale sarà invece possibile camminare. Il tutore verrà mantenuto per ulteriori 2 settimane.

Se un paziente operato per la correzione di un piede piatto flessibile è pienamente felice di aver svolto l’intervento a 3 mesi da questo, nel caso del piede piatto rigido la soddisfazione viene raggiunta a 5-6 mesi dall’intervento.

Attenzione però: non confondiamo soddisfazione e felicità con invalidità. Anche in questo caso il paziente torna ad essere autonomo a 4 -6 settimane dall’intervento, con la possibilità di rimettersi alla guida a 2 mesi dall’intervento.

Il recupero dell’attività sportiva viene rimandato a 4 mesi dall’intervento nel caso delle osteotomie correttive, a 7 mesi nei pazienti che sono stati sottoposti ad intervento di artrodesi.

La medicina rigenerativa e il piede piatto

In un piede piatto patologico, il dolore può essere determinato dall’alterazione biomeccanica e dal sovraccarico.

Per questo serve un compenso al sovraccarico mediante un plantare o una correzione del sovraccarico, mediante un intervento chirurgico sullo scheletro, possibilmente mini-invasivo.

Esiste, però, anche un dolore determinato da un sovraccarico tendineo.

Immaginiamo i nostri tendini come degli elastici che guidano il piede nel movimento. Una deformità obbliga alcuni di questi elastici ad un eccesso di lavoro.

In questi casi, la chirurgia ha l’obiettivo di ripristinare l’equilibrio, attraverso la pianificazione di trasposizioni tendinee. Ossia, chiedendo ai tendini sani di supportare quelli malati e affaticati.

Anche questa è una chirurgia, che oggi è possibile fare minimizzando incisioni e tempi di recupero.

Tuttavia, esiste, in casi selezionati, un’altra via che si può considerare: la medicina rigenerativa.

Infatti, una volta affrontate le cause del sovraccarico, una via moderna e promettente è quella di stimolare biologicamente i tendine patologici, inducendo un ripristino della loro funzione senza la necessità di chirurgia tendinea o in supporto ad essa.

L’utilizzo ambulatoriale di PRP e di cellule stromali multi-potenti (terapia cellulare) prelevate dal tessuto adiposo (grasso) è una scelta che propongo frequentemente ai miei pazienti, nella convinzione che il materiale biologico prelevato dal loro stesso sangue (PRP) o dal loro tessuto adiposo, sia la chiave per una terapia anti-infiammatoria naturale ed una terapia rigenerativa efficace.